Reati contro la pubblica amministrazione
In via generale il codice penale suddivide i delitti contro la pubblica amministrazione (art. 314 – art. 360 codice penale) a seconda che vengano commessi dal privato cittadino o dal pubblico ufficiale (o incaricato di un pubblico servizio).
Tra i più comuni reati indicati nella prima categoria figurano la violenza o minaccia a pubblico ufficiale (art. 336 c.p.), la resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.), l’interruzione di pubblico servizio (art. 340 c.p.), l’oltraggio (art. 341 bis, 342, 343, 343 bis c.p.), il traffico di influenze illecite di recente introduzione (art. 346 bis c.p.), l’abusivo esercizio di una professione (art. 348 c.p.), la violazione di sigilli (art. 349 c.p.).
La seconda categoria di reati, oggetto di una profonda riforma nel 2012 per far fronte, secondo le indicazioni governative, al dilagare del fenomeno corruttivo nel nostro paese, comprende il peculato (art. 314 c.p.), la concussione (art. 317 c.p.), la corruzione (art. 318, 319, 319 ter, 320 c.p.), la induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319 quater c.p.) di recente introduzione, l’abuso d’ufficio (art. 323 c.p.) o il rifiuto di atti di ufficio (art. 328 c.p.).
I reati del primo gruppo non presentano complessità particolari dal punto di vista concettuale e della interpretazione della norma: si tratterà in questi casi di verificare scrupolosamente l’effettiva ricorrenza del fatto contestato e, per i casi di violenza, resistenza o oltraggio a pubblico ufficiale, la presenza di eventuali abusi del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, consistenti in un superamento dei limiti delle loro attribuzioni che abbia dato causa al delitto. La ricorrenza di tale circostanza costituisce infatti causa di non punibilità (art. 393 bis c.p.) che porta all’inevitabile proscioglimento dall’accusa.
Viceversa per i reati del secondo gruppo, riferibili a chi esercita una pubblica funzione o presta un pubblico servizio, la complessità è ben maggiore anche in ragione della recente riforma del 2012 e dei numerosi dubbi interpretativi che la nuova formulazione delle norme pone e sui quali la corte di cassazione anche a sezioni unite è stata chiamata a pronunciarsi in più occasioni.
L’accusa di concussione (art. 317 c.p.) è ben più grave dell’induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319 quater c.p.) benché i confini tra la due ipotesi delittuose siano concettualmente (e probatoriamente) labili. Parimenti nella casistica processuale sottile è la differenza tra il corruttore (concorrente nel reato e sanzionato penalmente allo stesso modo del corrotto) e colui che è indotto a dare o promettere utilità (vittima del reato di cui all’at. 319 quater c.p.).
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Da ultimo non possono essere trascurati gli effetti patrimoniali, potenzialmente devastanti, connessi a una condanna per uno dei delitti previsti dagli articoli da 314 a 320 c.p. a cui spesso si accompagna la confisca, anche “per equivalente” rispetto al profitto o al prezzo del reato, di beni (art. 322 ter c.p.) dunque non necessariamente collegati in via diretta e immediata al delitto contestato. Lo Studio Legale Ciampa e Associati metterà a disposizione tutti gli strumenti di legge per impedire che valori acquisiti anche da tempo nel patrimonio del cliente possano essergli sottratti e acquisiti dallo Stato in via definitiva con la misura ablativa della confisca.
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